IL PRETORE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa di lavoro promossa
 dai ricorrenti Di Carlo Mario,  Giammarco  Ercole  ed  Ilari  Enrica,
 contro il Ministero di grazia e giustizia (n. 477/97);
   Rilevato  che  i  ricorrenti,  giudici  di  pace nel circondario di
 Fermo, domandano la condanna del  Ministero  convenuto  al  pagamento
 della  indennita'  speciale  prevista  dall'art.  3  della  legge  19
 febbraio 1981 n. 27 come spettante  ai  magistrati  ordinari,  tra  i
 quali,  secondo  l'assunto dei ricorrenti, devono essere annoverati i
 giudici di pace;
   Rilevato che la difesa erariale oppone che il compenso spettante ai
 giudici di pace e' regolato e determinato dall'art 11 della legge  21
 novembre  1991  n.  374,  che  lo denomina indennita' e ne quantifica
 l'ammontare, sicche' nessun altro compenso ad essi compete;
   Ritenuto che tale tesi appare fondata, essendo evidente che  l'art.
 11  citato  esprime  l'intenzione del legislatore di corrispondere un
 compenso nella misura determinata dalla norma stessa, senza  lasciare
 spazio  ad  ulteriori  pretese,  meno  che mai con riferimento a voci
 della retribuzione dei pubblici dipendenti magistrati ordinari;
   Ritenuto  che peraltro deve dubitarsi della costituzionalita' della
 norma  poiche'  essa  prevede   un   compenso   inadeguato,   siccome
 insufficiente ed incongruo;
   Ritenuto che tale dubbio insorge alla stregua della considerazione:
     1)    della    rilevanza,   ed   addirittura   della   preminenza
 costituzionale della funzione giudiziaria;
     2) della specifica, effettiva importanza che l'opera dei  giudici
 di pace assume nella amministrazione della giustizia;
     3)  della  inadeguatezza  del compenso che la legge prevede per i
 giudici di pace, in misura sicuramente insufficiente ad assicurare ad
 essi una esistenza dignitosa;
     4) della  conseguente  impossibilita',  per  la  generalita'  dei
 cittadini,  di  concorrere,  su  un  piano  di parita' rispettoso dei
 principi  costituzionali,  alla  funzione  giudiziaria   cosi   detta
 onoraria, che rimane inevitabilmente riservata ai cittadini abbienti,
 mentre  rimangono esclusi i cittadini che, pur essendo in possesso di
 tutti gli altri  requisiti,  non  fruiscano  di  reddito  diverso  ed
 ulteriore,   rispetto   alla   denominata   indennita',   prevista  e
 determinata  dalla  legge  per  i  giudici   di   pace,   in   misura
 assolutamente insufficiente a sovvenire alle loro necessita' di vita;
   Ritenuto  che,  per quanto attiene al primo punto, tutto il sistema
 costituzionale  attribuisce  preminenza  alla  funzione  giudiziaria,
 poiche'  "la  giustizia  e'  amministrata  in  nome  del popolo" e "i
 giudici sono soggetti soltanto  alla  legge  (art.  101  della  Carta
 costituzionale), in un contesto di liberta', e di legalita';
   Ritenuto  che,  per  quanto  concerne il secondo punto, e' di tutta
 evidenza che la legge conferisce al giudice di  pace  una  competenza
 vasta  ed importante nella quale rientrano controversie di valore che
 deve essere considerato piu'  che  rilevante,  alla  stregua  di  una
 valutazione che puo essere compiuta, secondo parametri reperibili tra
 i  fatti  notori, ed in particolare con riferimento al reddito medio,
 ed al  medio  tenore  di  vita,  quali  essi  sono  desumibili  dalle
 statistiche  ufficiali,  ed ulteriori, utili elementi di comparazione
 sono rappresentati dalle retribuzioni previste  dalla  contrattazione
 collettiva,   e   dal   livello  delle  prestazioni  previdenziali  e
 assistenziali; sicche' non  e'  possibile  qualificare  la  giustizia
 amministrata  dai  giudici  di  pace  come  "giustizia  bagatellare";
 siffatta opinione e' invero l'espressione di  una  insensibilita'  di
 soggetti  privilegiati  nei  confronti della grande maggioranza della
 popolazione, i cui problemi, ed i  conseguenti  conflitti  economici,
 meritano   rispetto   e   considerazione;   ovvero   e'   il   frutto
 dell'atteggiamento di chi sminuisca la cosi' detta "giustizia minore"
 per costituirsi l'alibi per un disimpegno nei confronti della  reale,
 effettiva  amministrazione della giustizia, da erogarsi come servizio
 a tutti i  cittadini,  con  tempi  e  costi  accettabili,  mentre  si
 vorrebbe  gabellare  come "giustizia superiore" una sorta di palestra
 riservata al dibattito dei massimi problemi, per cui  tempi  e  costi
 non rappresenterebbero intralcio;
   Ritenuto che se cio' vale sul piano della rilevanza oggettiva della
 competenza  del  giudice  di  pace,  tanto  vale  altresi' per quanto
 concerne il profilo  dell'esclusivita'  e  della  non  surrogabilita'
 dell'opera   di   tale  giudice,  al  quale  non  possono  certamente
 applicarsi le considerazioni, ricorrenti anche nella  giurisprudenza,
 in  ordine  alla  funzione  vicaria, complementare e di supplenza dei
 giudici  onorari,  considerazioni  che possono essere ritenute valide
 soltanto per diverse figure di giudici onorari, che sostituiscono  il
 giudice  togato  in  caso  di  necessita',  o  lo  coadiuvano, ma non
 assolvono, come i giudici di pace, una funzione giudiziaria  autonoma
 e, nell'ordinamento giudiziario, non sostituibile;
   Ritenuto  che,  per quanto riguarda il terzo punto, l'inadeguatezza
 del compenso previsto dall'art. 11 cit. e' di tutta evidenza, poiche'
 una  semplice,  elementare  operazione  aritmetica,   quale   e'   la
 moltiplicazione  del  compenso unitario previsto con riferimento alle
 singole attivita' per il numero delle attivita' possibili nell'unita'
 di tempo  considerata,  conduce  ad  un  risultato  che  deve  essere
 valutato  come  assolutamente  inferiore  alle  esigenze  di vita del
 cittadino, alla stregua del notorio (art. 115, comma secondo c.p.c.),
 e del parametro costituzionale di adeguatezza (cfr. l'art.  36  della
 Carta);
   Ritenuto   che,  di  tale  inadeguatezza  il  legislatore  era  ben
 consapevole, come e' desumibile dalla voluta esclusione di  qualsiasi
 connotato  di corrispettivita', laddove si afferma che "l'ufficio del
 giudice di pace e' onorario" (comma  primo  dell'art.  11  cit.),  si
 qualifica   il   compenso   come   "indennita'",   e  si  prevede  la
 cumulabilita' della indennita' "con i trattamenti pensionistici e  di
 quiescenza  comunque  denominati"  (comma 4-bis aggiunto dall'art. 15
 del d.-l. 7 ottobre 1994 convertito in legge 6 dicembre 1994 n. 673);
   Ritenuto che seppure il legislatore e' sovrano nel denominare  come
 piu'  gli  aggrada  compensi come indennita', ed uffici come onorari,
 egli non puo' attribuire ad essi natura diversa da  quella  che  essi
 nella realta' assumono, e caratteri difformi dalla verita'; sicche' a
 nessuno, e neppure al legislatore e' dato disconoscere che il giudice
 di pace svolge (o dovrebbe svolgere) con competenza ampia, ed impegno
 pieno,  una  funzione  vasta,  ed  insostituibile, di amministrazione
 della giustizia; sicche' nel vigente sistema, come esso e'  regolato,
 la  maggior  parte  delle  controversie  civili  sono attribuite alla
 competenza del giudice di pace, e sino ad un valore che la gran parte
 degli interessati puo' a ragione considerare ragguardevole; e laddove
 il  numero  delle  controversie  e'  modesto,  cio'  deve  certamente
 attribuirsi   a   disfunzioni   ed   inefficienza   dell'apparato   e
 nell'apparato  giudiziario,  ed  al  conseguente  scoraggiamento  dei
 potenziali  utenti,  e  non  ad  una  scarsa  rilevanza  del servizio
 pubblico - amministrazione della giustizia  che  i  giudici  di  pace
 dovrebbero assicurare;
   Ritenuto pertanto che l'amministrazione della giustizia e' funzione
 primaria,  che  essa  e' attribuita in parte importante ai giudici di
 pace, che possono e debbono  svolgerla  con  un  impegno  che  e'  (o
 dovrebbe  essere)  di  assoluta  rilevanza,  rimane  da  valutare  se
 l'inadeguatezza  dell'indennita',   prevista   dall'art.   11   cit.,
 costituisca violazione di norma costituzionale;
   Ritenuto  che  l'insufficienza  del  compenso inficia certamente il
 prestigio del giudice, e pregiudica l'efficienza del servizio, ma non
 costituisce ostacolo assoluto alla amministrazione  della  giustizia,
 sicche'  non  puo'  ipotizzarsi,  sotto  tale  esclusivo profilo, una
 violazione delle norme costituzionali che prevedono e  sanciscono  il
 diritto alla tutela giurisdizionale;
   Ritenuto che tale insufficienza costituisce peraltro impedimento di
 fatto  all'esercizio  della  funzione  giurisdizionale,  mediante  la
 partecipazione ad essa, come giudice di pace, per tutti quei soggetti
 che non fruiscano di reddito aggiuntivo, con violazione del principio
 di'  uguaglianza  dei  cittadini,  sicche'   si   costituiscono   due
 categorie:    quella  dei  cittadini abbienti, che possono concorrere
 alla funzione giurisdizionale come giudici di pace, e quella composta
 da tutti gli altri cittadini, che da tale funzione  sono  estromessi,
 solo  perche'  non hanno altro reddito, e non potrebbero procurarselo
 svolgendo attivita' lavorativa, poiche' l'ufficio del giudice di pace
 richiede impegno costante e gravoso;
   Ritenuto che tale discriminazione  appare  addirittura  prevista  e
 voluta  dal  legislatore,  che  sembra  aver  prescelto un modello di
 giudice di pace ispirato da antiche esperienze, dei tempi in  cui  si
 riservava  l'amministrazione  della giustizia ai maggiorenti, siccome
 compartecipi del comune sentire dei ceti dominanti; e  cio'  mediante
 la discriminazione conseguente alla gratuita' degli incarichi, che li
 rendeva  sopportabili,  ed  esercitabili,  soltanto  per  coloro  che
 appartenevano al ceto degli abbienti;
   Ritenuto che un giudice che abbia tale carattere non  puo'  trovare
 ingresso   nel   vigente   sistema   costituzionale,   per   assoluta
 incompatibilita'  con  i  principi  democratici   che   ispirano   la
 costituzione;  e  poco  importa che il ricorso al modello del giudice
 onorario inadeguatamente retribuito sia stato presumibilmente dettato
 da mere finalita' di risparmio,  o  da  considerazioni  di  interesse
 delle categorie degli operatori del diritto; anche se non ispirata da
 intenti discriminatori la norma della cui costituzionalita' si dubita
 produce comunque una evidente e stridente discriminazione; infatti se
 il  giudice  di  pace  deve  svolgere attivita' ampia ed impegnativa,
 l'insufficienza  della  sua  retribuzione  esclude,  automaticamente,
 dall'ufficio  i  cittadini  non  abbienti, che non potrebbero ad esso
 dedicare il tempo e l'impegno  necessario  in  quanto  sprovvisti  di
 redditi  non  di  lavoro:  ne' potrebbe ipotizzarsi che essi siano in
 grado di trarre guadagno da altra attivita' lavorativa, non esistendo
 la  possibilita'  di  svolgere  una  attivita'  lavorativa  ampia   e
 redditizia   per   un   cittadino  incaricato  di  un  ufficio  tanto
 impegnativo  quale  deve  essere  ritenuto,  per  i  motivi  esposti,
 l'ufficio del giudice di pace;
   Ritenuto  pertanto che il sistema, cosi' come configurato dall'art.
 11 cit., propone  soltanto  due  alternative:  la  prima,  ovviamente
 inaccettabile,  e'  che  l'amministrazione della giustizia venga resa
 dai giudici di  pace  come  attivita'  ulteriore  rispetto  ad  altra
 attivita' lavorativa, con pregiudizio evidente ed irreparabile per un
 servizio  pubblico  primario:  e  la seconda e' che alla attivita' di
 amministrazione della giustizia si dedichino  solamente  i  cittadini
 che fruiscano di redditi ulteriori, con esclusione di tutti gli altri
 soggetti;
   Ritenuto  che  invece  potrebbe  considerarsi  come  rispettoso del
 principio costituzionale di eguaglianza, e quindi  costituzionalmente
 legittimo,  soltanto  un trattamento che prevedesse per il giudice di
 pace un compenso adeguato, tale da consentire  a  ciascun  cittadino,
 che   ne   abbia   i  requisiti,  di  concorrere  all'ufficio,  nella
 consapevolezza che ad esso potra' dedicare il tempo, e l'impegno,  ed
 il   lavoro   necessari,   poiche'  gli  e'  assicurato  un  adeguato
 sostentamento: mentre appare lesivo del principio di  eguaglianza  il
 trattamento  vigente, che costituisce, un fattore di discriminazione,
 riservando la possibilita' di accedere  all'ufficio,  e  comunque  di
 esercitarlo,  a  quei  cittadini  soltanto  che  abbiano  un  livello
 economico tale da metterli in grado di svolgerlo senza preoccupazioni
 di ordine economico;
   Ritenuto inoltre che  non  sussiste  la  preclusione  rappresentata
 dalla  configurabilita'  di  un  vuoto  normativo  che  si  aprirebbe
 nell'ordinamento, se ed in quanto non fosse possibile sostituire alla
 norma  dichiarata  costituzionalmente  illegittima  un'altra   norma,
 desumibile  dal  sistema,  e della cui costituzionalita' non sia dato
 dubitare; e' infatti evidente che troverebbe applicazione, quantomeno
 in via analogica, l'art.   2225  c.c.,  e  che  i  parametri  per  la
 determinazione  equitativa  di un adeguato corrispettivo sarebbero di
 agevole reperimento;
   Ritenuto infine che  la  questione  appare  rilevante  e  decisiva,
 poiche'   da   essa  dipende  l'esito  del  processo,  nel  quale  si
 controverte della pretesa dei ricorrenti  ad  un  compenso  superiore
 alla  indennita'  prevista dalla norma della cui costituzionalita' si
 dubita.